COME SCEGLIERE LO STILE DI UN LOCALE E DI CONSEGUENZA L’ARCHITETTO ADATTO A REALIZZARLO Parte II

A margine o come seguito del post precedente (qualora non ti sia bastato)
mi pare giusto fare alcune precisazioni.

Valgono in generale, ma provo a farle “su di me”, in modo da non essere frainteso.

Cercando di analizzare il lavoro che faccio e di spiegarlo agli altri
uso spesso delle “estremizzazioni” o delle “semplificazioni”
perché in questo modo i concetti risultano più chiari e confrontabili tra loro.

Nel caso del post precedente ho indicato 3 possibili “vie” per la progettazione di un locale.

Autorale

Di Tendenza

Orientato al mercato.

Questo modo di presentare le cose serve ad evidenziare alcuni aspetti
che ho chiamato pro e contro
dei 3 metodi

A prima vista sembrerebbe quindi necessario valutare questi aspetti
e poi scegliere quale metodo seguire.

In realtà una cosa non esclude necessariamente l’altra.

Mi spiego.

È possibile che ciascuno si riconosca in uno o in un altro dei metodi citati.
Più facilmente, abbia nel suo modo di progettare, qualcosa di ognuno dei tre.
come accade a me.

Io infatti, sono “autorale” nel senso che,

qualsiasi sia l’analisi che faccio prima di progettare,
la risposta che do, le soluzioni che trovo, le scelte che faccio,
sono comunque “filtrate” dal mio modo di vedere e di pensare.
Inevitabilmente influenzate dalle mie preferenze.

Anche quando penso di essere il più “oggettivo” possibile,
in realtà le scelte che faccio sono comunque in parte “soggettive”.

Quello che invece non faccio,
è “innamorarmi” di uno stile, di un materiale, di una forma,
tanto da farlo diventare la mia “cifra stilistica”.
Il mio “unico” linguaggio

Faccio così anche perché mi annoio facilmente e non mi piace fare sempre le stesse cose.

Ma non ho nulla in contrario a chi invece preferisca definire uno “stile” proprio,
nel quale riconoscersi completamente.

(Quasi tutti gli architetti fanno così!)

.

Analogamente, riferirsi ad una “tendenza”, non è sbagliato in assoluto.

Io continuamente studio, guardo, cerco di capire che cosa piaccia al pubblico,
quali siano le cose non dette, oppure il modo per dirle diversamente.
Ricerco continuamente “stili” e “linguaggi” in sintonia con i gusti del pubblico.

Alcune volte questi incontrano il favore del pubblico per più tempo e quindi diventano tendenza
(non perché la invento io, ma perché al massimo ne intuisco il potenziale)
altre volte rimangono degli “esperimenti” che durano la vita del locale.

Lo faccio, sempre per non annoiarmi (vedi sopra)
e poi per non rimanere intrappolato nella fase calante della tendenza,
quella in cui tutti dicono:
“che palle questi locali xxx”

Cercando di utilizzare comunque un linguaggio “attuale” e non fuori tempo.

Perchè che una tendenza abbia una fase crescente ed una calante è inevitabile.
Meglio sarebbe riuscire sempre ad anticiparle le tendenze
Piuttosto che “subirle”.

Per esempio:

Nel 1999 (!) ho progettato insieme al mio amico Claudio un Diner Americano in stile anni 50.

In questo locale si servivano hamburger impiattati in modo che oggi si definirebbe “gourmet”.

 

Nel 2002 (!) ho progettato insieme alla mia collega Alessandra una Caffetteria Pasticceria
che riproduceva l’atmosfera di un laboratorio di pasticceria

Uno stile che oggi si definirebbe “industrial”.

Questi due progetti sono ancora attuali oggi.

Certo il vintage anni 50 oppure lo stile industriale,
con i muri rivestiti in piastrelle, rastrelliere in ferro con mensole in legno invecchiato,
I banconi di lavorazione e il forno a vista,
adesso sembrano delle “idee comuni” a molti locali

Esatto.

ADESSO.

Allora, forse, non così tanto.

Nel 2005 invece ho disegnato una discoteca in stile “neo barocco”,
mescolando velluti capitonnè, specchi e lampadari di cristallo
e che oggi, almeno in Italia, sembra essere una “tendenza” un po’ superata.

Mentre 10 anni fa era perfetta.

Quello che non dovrebbe fare un architetto quindi, è affidarsi ad una “tendenza” in modo acritico

solo perché lo fanno tutti.

.

E qui arriviamo al punto che pare essere il mio preferito.
Market Oriented Design.

Qui la cosa difficile è fare coesistere questo aspetto con quello autorale e di tendenza.

Infatti occorre  decidere  se il design del locale debba rendere riconoscibile
“l’autore”, “la tendenza” oppure il “brand” del locale.

Le cose possono essere conciliabili solo in parte.

Ovvero quando lo stile dell’architetto (o la tendenza) sia COERENTE con quello del locale.

MA quando questa corrispondenza non c’è

occorre scegliere:

o uno impone il SUO stile con il rischio che non sia coerente con il posizionamento del locale o con la tendenza del momento

oppure

l’architetto ricerca lo stile coerente con il locale, “interpretandolo” attraverso la SUA sensibilità.

perché comunque la “mano” equilibrante dell’architetto ci deve sempre essere
altrimenti veramente basta che vai in un magazzino qualsiasi
a comprare l’arredo che su internet vedi che va in questo momento
(l’ho gia detto questo vero?)

Per me essere “autorale”, NON SIGNIFICA essere “riconoscibile”

Magari come ho detto ci sono degli elementi, dei punti di vista che mi appartengono
come a ciascuno di noi,

ma in ogni locale che faccio non cerco di fare emergere la MIA personalità
ma quella del locale.

Tant’è che i miei locali possono essere anche molto “diversi” gli uni dagli altri.
E quindi, non è detto nemmeno che si capisca che li ho progettati io.
(ammesso che uno sappia chi sono)

Riassumendo…

Se sei disposto a rinunciare ad una parte del tuo EGO
e cercare di mettere le tue competenze, la tua esperienza, la tua creatività,
al servizio del successo del locale,

puoi tranquillamente utilizzare tutti e 3 i metodi di progettazione che ti ho indicato
mescolandoli insieme.

Anzi, probabilmente è proprio questa la strada migliore.

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